Vico Magistretti

Vico Magistretti

<<Ho dovuto fare, quasi sempre, del design per la necessità di completare o arredare gli edifici da me progettati e costruiti sotto una spinta di necessità, che è sempre buona consigliera nel cercare la semplicità, quasi che gli oggetti progettati dovessi costruirli con le mie mani.

Libreria Nuvola Rossa, Cassina 1977

Un bel libro sulla storia del Giappone ha per titolo The nobility of failure e potrei parafrasare quest’asserzione dicendo che la mia preferenza va, nel ricordo, ad alcuni di quegli oggetti, da me disegnati, che non hanno avuto particolare successo di pubblico: una lampada da casa di Artemide, mobile nello spazio (1970), un divano di Cassina con la coperta di cavallo, una libreria pieghevole e, per ultimo, la sventurata collezione Broomstick.

Divano Sinbad, Cassina 1981

Tutti oggetti disegnati solo come espressione di un concetto elementare che avrebbe potuto assumere forme diversissime (come poi ha assunto nelle numerose copie).

È, forse, il modo da me preferito di disegnare, perché esclude ogni preoccupazione stilistica formale anche quando, come ora, il mio intento si concentra sulle opportunità, come europeo, di non dimenticare la Storia e di fare del redesign prendendo a prestito, per non lasciarli morire come una specie in via di estinzione, vecchi modelli che, rivisitati e alterati per il nostro uso, diventano un’altra cosa e riportano nel presente un ricordo che si potrebbe perdere, mettendo così in atto, come in architettura, una particolare attenzione alle preesistenze ambientali anche nel design. Non abbiamo bisogno per questo, come gli Americani, di crearci un post-modern>>.

 

Dopo una lunga malattia scompare a 85 anni. Muore, il 19 settembre 2006.

 

 

Vico Magistretti

Vico Magistretti

"La semplicità la cosa più difficile del mondo"

Architetto e designer, allievo di Ernesto Natah Rogers direttore della storica rivista Domus, fu tra i protagonisti negli anni '60 del Design Italiano.
Con Magistretti se ne va uno degli ultimi protagonisti dell'epoca gloriosa dell'"Italian Design", movimento celebre in tutto il mondo.

Vico Magistretti è stato uno dei più illustri esponenti di quel fenomeno culturale e produttivo, l’Italian Design, che ebbe inizio nell’immediato dopoguerra e lanciò lo stile della casa italiana nel mondo. Un periodo magico per il design italiano caratterizzato dallo speciale rapporto tra produttori e designers, fondato su una stretta collaborazione, che ha fatto del design italiano un fenomeno unico al mondo per dinamicità e per durata nel tempo.
La sua opera copre un arco di oltre cinquant’anni disegnando alcuni tra i prodotti più significativi della produzione di serie: sedie, lampade, tavoli, letti, cucine, armadi, librerie, oggetti reinventati nell’uso e nelle forme, secondo lo stile misurato ed elegante di Magistretti.

Quasi tutti sono ancora in produzione e continuano ad essere dei bestsellers. A conferma che "un oggetto di buon design deve durare a lungo, 50 o anche 100 anni", come sostiene lo stesso Magistretti.

Vico Magistretti nasce a Milano il 6 ottobre 1920. Studia al Politecnico di Milano e si laurea in Architettura nel 1945. Entra nello studio di architettura del padre Piergiulio, prima di aprirne uno proprio. Architetto, urbanista, designer e docente. Costruisce cinema, alberghi, edifici per uffici e abitazioni.
Partecipa dal 1948 a varie edizioni della Triennale di Milano.
Nel 1956 è stato tra i fondatori dell'ADI, l'Associazione per il Disegno Industriale.
Disegna mobili e lampade per Artemide, Gavina, Cassina, OLuce, De Padova.

Ha ricevuto numerosi e notevoli premi: Medaglia d'Oro alla IX Triennale nel '51, Compasso d'oro nel 1967 con la lampada Eclisse, nel '79 con la lampada Atollo e per il divano Maralunga di Cassina., Compasso d'oro alla carriera nel '95; due Medaglie d'oro e d'argento al Wiener Möbelsalons International 1970; Sedia d'oro al Möbelsalons di Colonia 1982; Gold medal S.I.A.D. (Society of Industrial Artists and Designers) di Londra nel 1986, Medaglia d'oro Apostolo del Design Milano, 1997.

Nell'immediato dopoguerra è attivamente coinvolto nei problemi della ricostruzione: teoricamente, attraverso il MSA (Movimento Studi Architettura) di cui è tra i fondatori, e praticamente, progettando per 1'INA- Casa e per il QT8. Partecipa inoltre attivamente alle Triennali, curando numerose sezioni e vincendo alla IX edizione, nel 1951, una medaglia d'oro e alla X, nel 1954, il Granpremio. Tra le architetture più significative progettate a Milano in questo periodo ricordiamo la Torre al Parco, nel 1953-56, il palazzo per uffici in corso Europa, nel 1955-57, e 1'edificio di piazzale Aquileia, 1962-64. Seguono alcune ville uni-familiari, tra cui Casa Arosio ad Arenzano nel 1958, villa Schubert a Ello nel 1960, casa Bassetti ad Azzate nel 1960, casa Gardella ad Arenzano nel 1963. Del 1969-71 è il condominio di Piazza San Marco. Tra le architetture più recenti: la Facoltà di Biologia di Milano, 1978-81, la casa Tanimoto a Tokyo, 1985, e il deposito ATM di Milano Famagosta, 1989.

Progetta inoltre per "De Padova", Fritz Hansen, Campeggi, Fontana Arte, Fredericia, Kartell. Dal 1967 e membro dell'Accademia di San Luca e del Royal College of Art di Londra, dove è anche visiting professor.

Tra i suoi più famosi lavori, ricordiamo la lampada Atollo (OLuce, 1977) e la sedia Selene.

<<Ho dovuto fare, quasi sempre, del design per la necessità di completare o arredare gli edifici da me progettati e costruiti sotto una spinta di necessità, che è sempre buona consigliera nel cercare la semplicità, quasi che gli oggetti progettati dovessi costruirli con le mie mani.
Un bel libro sulla storia del Giappone ha per titolo The nobility of failure e potrei parafrasare quest’asserzione dicendo che la mia preferenza va, nel ricordo, ad alcuni di quegli oggetti, da me disegnati, che non hanno avuto particolare successo di pubblico: una lampada da casa di Artemide, mobile nello spazio (1970), un divano di Cassina con la coperta di cavallo, una libreria pieghevole e, per ultimo, la sventurata collezione Broomstick.
Tutti oggetti disegnati solo come espressione di un concetto elementare che avrebbe potuto assumere forme diversissime (come poi ha assunto nelle numerose copie).
È, forse, il modo da me preferito di disegnare, perché esclude ogni preoccupazione stilistica formale anche quando, come ora, il mio intento si concentra sulle opportunità, come europeo, di non dimenticare la Storia e di fare del redesign prendendo a prestito, per non lasciarli morire come una specie in via di estinzione, vecchi modelli che, rivisitati e alterati per il nostro uso, diventano un’altra cosa e riportano nel presente un ricordo che si potrebbe perdere, mettendo così in atto, come in architettura, una particolare attenzione alle preesistenze ambientali anche nel design. Non abbiamo bisogno per questo, come gli Americani, di crearci un post-modern>>.

Dalle idee e dalla matita di Vico Magistretti nascono progetti innovativi destinati a rivoluzionare la produzione d’arredo in Italia, influendo in modo determinante anche sul gusto degli italiani e sulle loro abitudini. Nasce così un modo nuovo di concepire gli oggetti di tutti i giorni che, rinnovati nella forma e nell’uso, sono destinati a diventare dei bestseller in tutto il mondo.
"Nel design ciò che conta è il concetto espresso con uno schizzo".

Lampada da tavolo a luce diretta e diffusa in vetro di Murano opalino

Da uno schizzo alla forma concreta: Magistretti non ha mai fatto disegni tecnici, ma schizzi che esprimono un’idea. Convinto che certi pezzi siano concettualmente così chiari e semplici da poter essere comunicati per telefono. E gli schizzi, a volte tracciati casualmente sul retro di una busta o su un biglietto della metropolitana, sottolineano tutto il percorso espositivo.
È il suo personale modo di lavorare, colloquiando con i tecnici e con i produttori, per un confronto e uno scambio di idee sulla realizzazione di un prodotto: "Design vuol dire anche parlare assieme".
Per la sua formazione razionalista Vico Magistretti è sempre stato interessato al design per la grande serie, al grande numero destinato a un vasto pubblico: affascinato dalla riproducibilità di un oggetto più che dall’unicità di un singolo pezzo.
"Negli anni Sessanta la produzione di serie è stata un passaggio chiave per l’Italian Design, che ha avuto la fortuna di realizzare il criterio sociale del Bauhaus: produrre mobili per tutti".

E a chi gli ha chiesto quale oggetto vorrebbe aver progettato (intervista De Padova) Magistretti risponde: "L'ombrello". Penso che chi ha inventato l'ombrello sia straordinario. Tra l'altro, ai tempi, la chiesa proibiva di coprirsi la testa perché questo impediva al Padreterno di mandare giù acqua e far bagnare la gente.

Perché proprio l'ombrello?
Per la semplicità dell'ombrello, il niente dell'ombrello, la tensione dell'ombrello, che lo rendono l'oggetto che io vorrei aver disegnato più di tutti. Invece, ho finito per disegnare quella scemata di lampada, l'Eclisse, che però dura ancora, perché ha segnato, anche con le scottature sulle dita, qualche generazione. Questa è un bella soddisfazione, ti dà il senso dell'oggetto prodotto perché, evidentemente, rispondeva a una qualche necessità che non aveva niente di stilistico.